Pisanu: con Gladio questa crisi non ci avrebbe trovati impreparati

Corriere della Sera, mercoledì 2 aprile 1997L'Intervista/ Il capo dei deputati azzurri (ex dc) ricorda che la struttura d'intelligence nei Balcani era "efficientissima"
ROMA - "Diciamo la verità, fin dall'inizio della crisi in Albania, il governo italiano non ha capito nulla: è stato colto di sorpresa. Il motivo? Abbiamo un'intelligence inadeguata. E dire che, fin da quando c'è stata Gladio, nei Balcani abbiamo avuto una rete d'informazione efficientissima". Allarga le braccia sconsolato Beppe Pisanu: dice che "è inutile prendersela con il povero Andreatta", che "di errori ne ha commessi anche lui" ma che "il problema è l'inadeguata politica estera italiana", e che "invece di ottenere il consenso degli alleati, siamo stati lasciati soli a gestire la questione albanese". Il capogruppo di Forza Italia ritiene che il governo rischi moltissimo con la spedizione: "Altro che riforma dello stato sociale, qui si parla di una missione in un Paese che per metà è in mano a bande armate. E i nostri soldati saranno sotto il tiro di quelle bande sensa un'adeguata rete di intelligence. Ai tempi di Gladio non era così...". Pisanu, prima di essere un dirigente azzurro è stato un autorevole dirigente della Dc, di quel periodo conosce molte storie, "e siccome quel passato fa parte ormai dei libri di storia se ne può discutere".
Perché continua a far riferimento a Gladio?
"Perché finché Gladio è esistita, l'Italia ha avuto un efficentissimo sistema d'informazione in tre zone molto calde: i Balcani, l'Africa del Nord e il Corno d'Africa. Era una rete talmente solida che ci permetteva di rimanere in stretti rapporti con i più grandi servizi mondiali. E in quel club ristretto si entra solo se hai qualcosa in cambio da offrire. Ecco, noi avevamo molte informazioni di primissima mano da scambiare".
Per esempio?
"Beh, ai tempi della crisi petrolifera, facemmo una gran bella figura con le grandi potenze: fummo noi, infatti, ad avvisare gli alleati che in Arabia Saudita un principe stava preparando un colpo di Stato. La cosa la sapemmo dal Mossad, il servizio israeliano al quale noi fornivamo informazioni sui movimenti nei Paesi africani. E che in cambio ci diede quella notizia".
Sì, ma che c'entra Gladio?
"Beh, a quei tempi in Sardegna (dove c'era la famosa base di Gladio, ndr) grazie ai gladiatori si addestravano a costi bassissimi uomini di Paesi amici".
Per esempio?
"Per esempio furono ospitati molti tunisini: grazie a loro poi, sapevamo tutto sulla Libia. Sulle mappe avevamo l'esatta posizione di ogni cannone, di ogni carro armato. Sapevamo anche quante pistole Gheddafi schierava ai confini. Poi...".
Poi?
"Poi saltò tutto: fu quando Andreotti diede il permesso a quel magistrato veneziano (Casson. ndr) di accedere a Forte Braschi. Mi domando come si possano fornire informazioni riservatissime che avrebbero poi messo in difficoltà gli alleati. Certo, alcune strutture di Gladio erano segrete, ma quell'organizzazione era stata creata in caso di un'invasione dall'Est: quindi non poteva essere di dominio pubblico".
E lei si è mai spiegato perché Andreotti si comportò in quel modo?
"Mah. Allora, così scrissero i giornali, si disse che Andreotti lo fece per ingraziarsi la sinistra. Tutti sanno che ci si preparava alla corsa per il Quirinale...".
E lei accosta la fine di Gladio alla mancanza di una rete di intelligence italiana?
"Io dico solamente che quella rete d'informazione, che era molto efficiente, non c'è più. D'altronde la crisi albanese ci ha colto impreparati".

Francesco Verderami




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